I parassiti devono impegnare le proprie forze per completare il ciclo biologico a scapito di ospiti che mettono in pratica una serie di auto-difese. Il meccanismo è importante soprattutto per quei parassiti nel cui ciclo c’è un ospite vettore che è in stretto contatto con – o viene mangiato da – un organismo bersaglio specifico in cui il parassita continua il ciclo. Il parassita ed il suo ospite si devono trovare nel posto giusto al momento giusto affinché avvenga la trasmissione al successivo ospite idoneo.
Questo, in alcune situazioni, ha portato la selezione naturale a favorire i parassiti in grado di manipolare il comportamento dei propri ospiti.
I parassiti possono utilizzare sostanze chimiche od altri mezzi per alterare i comportamenti degli ospiti in modo da trarne benefici, aumentando le possibilità di trasmissione all’ospite successivo.
Possono verificarsi dei cambiamenti nel fenotipo dell’ospite, come l’acquisizione di nuovi comportamenti, che forniscono una forte evidenza del concetto di fenotipo esteso, cioè di geni di un organismo che hanno un’espressione fenotipica in un altro organismo.
Esempi classici di “manipolazione” parassitaria
La letteratura scientifica presenta molti casi di comportamenti modificati degli animali parassitati. Gli spinarelli (piccoli pesci) che ospitano la forma larvale del cestode Schistocephalus solidus, nuotano più vicini alla superficie dell’acqua e sono meno impauriti dalla presenza degli uccelli predatori che fungono da ospiti definitivi (OD).
I roditori infestati dal nematode Trichinella spiralis o dal protozoo Sarcocystis cernaemanifestano comportamenti d’allerta meno pronunciati nei confronti dei predatori, facilitando la trasmissione del parassita agli OD.
In alcuni casi si osservano comportamenti completamente nuovi negli ospiti infestati. Per esempio, un ragno tessitore infestato dalla larva di una vespa parassita, costruisce una ragnatela diversa dal solito per proteggere la larva emergente dopo la morte del ragno stesso.
Un’altra vespa parassita induce il suo ospite, un bruco, a restare vicino al parassita dopo che lo stesso è emerso dal suo corpo, proteggendo le pupe da potenziali predatori, agendo come una sorta di guardia del corpo.
Le formiche infestate da un nematode che deve essere trasmesso ad uccelli frugivori, non solo diventano simili a frutti sviluppando un addome rigonfio e rossastro, ma si comportano anche come frutti, rimanendo appesi tra gli altri frutti di colore simile, con l’addome in posizione rialzata ed immobile, in attesa degli uccelli predatori.
Le larve di alcuni nematodi mermitidi sono parassite e si sviluppano in ospiti artropodi, ma devono raggiungere l’ambiente acquatico in cui i vermi adulti vivono dopo la maturazione. Inducono il loro ospite artropode a suicidarsi portandolo a cercare l’acqua ed a tuffarcisi.
Anche in questo caso la manipolazione coinvolge l’improvvisa comparsa di nuovi comportamenti dell’ospite indotti dal parassita a proprio vantaggio.
È evidente che molti parassiti sono in grado di manipolare il comportamento del loro ospite in natura. Ed anche gli animali domestici possono essere infestati da parassiti manipolatori sia come ospiti bersaglio che come vettori manipolati.
La rabbia è uno degli esempi migliori di un patogeno che altera il comportamento dell’ospite. Il Rhabdovirus infetta il SNC dei mammiferi (in particolare le regioni del cervello che controllano i comportamenti sociali e di aggressività) e le ghiandole salivari.
L’ospite infetto può manifestare aggressività che facilita la trasmissione del virus attraverso il morso.
Anche se l’esito fatale della rabbia costringe l’agente patogeno a cercare continuamente nuovi ospiti, i cambiamenti comportamentali indotti dal virus assicurano la trasmissione, la sopravvivenza e la diffusione del patogeno nel tempo, nello spazio e tra specie con un’efficienza davvero straordinaria.
Parassiti di interesse veterinario
Dicrocoelium dendriticum
Il trematode D. dentriticum (due ospiti intermedi [OI] ed un OD) ha una diffusione mondiale (Europa, Asia, Nord Africa ed America).
Anche se la patogenicitià generalmente è bassa, la dicroceliosi può portare a dimagrimento e riduzione della produzione di latte nei ruminanti domestici (OD) e, talvolta, può essere mortale.
Attualmente stanno aumentando le segnalazioni della malattia, soprattutto a causa dello sviluppo di resistenza nei confronti degli antielmintici ed a causa della diffusione del parassita stesso. D. dendriticum è trasmesso ai ruminanti, comprese vacche e pecore domestiche, quando si cibano accidentalemente di formiche parassitate (dalle metacercarie) attaccate alle erbe.
Le larve del parassita inducono i loro insetti ospiti a salire in cima agli steli d’erba ed a restarci ancorati tramite le mandibole (in cui inducono una paralisi spastica, dovuta al fatto che 1-2 metacercarie, invece d’incistarsi, restano avvolte da una membrana idrofila sensibile alle variazioni di luce e temperatura, in prossimità del ganglio nervoso retrofaringeo; nelle ore più fresche della giornata la membrana si dilata e comprime il centro nervoso), in attesa dell’ingestione da parte di un erbivoro al pascolo.
Diplostomum spathaceum
Il comune verme piatto (trematode) oculare D. spathaceum ha un ciclo biologico a 3 ospiti che comprendono lumache limneidi, pesci ed uccelli che si cibano di pesci, come i cormorani. Le cercarie che nuotano liberamente, prodotte tramite moltiplicazione asessuata nella lumaca e liberate nell’acqua, devono trovare un pesce in cui penetrare attraverso le branchie o la pelle.
Migrano nei tessuti fino al cristallino dell’occhio in cui si sviluppano in metacercarie. Il ciclo viene completato quando il pesce ospite viene mangiato, insieme alle metacercarie, dall’ospite definitivo (uccello). Localizzandosi negli occhi dell’ospite, le metacercarie causano la catarattaper via della distruzione meccanica del cristallino e dei prodotti metabolici escreti dai parassiti, riducendo la vista dell’ospite. L’infestazione da D. spathaceum nel pesce è associata anche a modificazioni del comportamento dell’ospite, come l’aumento dell’attività, la migrazione verso la superficie dell’acqua e la diminuzione della responsività agli stimoli visivi, mentre la capacità di nuotare non viene alterata. In questo modo, lesionando importanti organi di senso, D. spathaceum è in grado di alterare i meccanismi antipredatori fondamentali del pesce, in modo da aumentare la vulnerabilità dell’OI nei confronti di quello definitivo. D. spathaceum è un parassita cosmopolita che infesta parecchie specie di pesci, con alte prevalenze ed intensità in certi ospiti. Anche se gli effetti patologici della diplostomiasi vengono documentati raramente nei pesci selvatici, in parte perché gli individui con alte cariche parassitarie vengono rimossi dalla popolazione tramite la predazione, le epizoozie da D. spathaceum possono raggiungere livelli molto gravi nei pesci in cattività, soprattutto negli allevamenti di salmonidi come la trota arcobaleno (Oncorhynchus mykiss). Dal momento che le cercarie di D. spathaceum non cercano attivamente l’ospite e spesso sono distribuite casualmente, il comportamento di evitare questa fonte d’infestazione è il meccanismo primario di difesa mostrato dal pesce ospite. Come risultato dell’esposizione elevata e continua alle larve parassitarie, D. spathaceum frequentemente viene ritrovato abbondantemente nei pesci d’allevamento e può causare seri problemi sanitari. Segnalazioni aneddotiche riportano che le trote arcobaleno gravemente infestate da D. spathaceum non rispondono alle esche da pesca, riducendone l’utilizzabilità nella pesca sportiva.
Echinococcus granulosus
L’echinococcosi è causata dall’infestazione da cisti (metacestodi) del cestode Echinococcus. Questi parassiti hanno un ciclo biologico a due ospiti mammiferi. L’OD è un carnivoro in cui i cestodi adulti albergano nel piccolo intestino. Le uova sono eliminate con le feci e vengono ingerite accidentalmente dall’OI, in cui schiudono e si sviluppano in cisti idatidee nei polmoni, nel fegato ed in altri organi interni. L’OD s’infesta nel momento della predazione di quello intermedio. Attualmente si conoscono molte specie di Echinococcus, anche se ci sono numerosi stipiti genetici intraspecifici. Echinococcus ha un ristretto range di OD, costituito soprattutto da canidi domestici e selvatici, ma ha una distribuzione cosmopolita, essendo virtualmente presente in tutti i continenti. I metacestodi sono generalmente meno ospite-specifici delle tenie, potendo sviluppare in molti erbivori ed onnivori, come uomo, pecora, bovino e cavallo.
E. granulosus ed E. multilocularis sono le specie più importanti per le implicazioni di salute pubblica e per la distribuzione geografica. E. granulosus infesta principalmente gli animali domestici, avendo il cane come OD e la pecora come OI, ma può infestare anche l’uomo. E. granulosus ed E. multilocularis sono responsabili dell’echinococcosi cistica ed alveolare rispettivamente; entrambi determinano, tramite riproduzione asessuata, la formazione di un numero crescente di cisti che possono causare debilitazione ed anche risultare letali. Tra l’altro gli OI possono risultare più vulnerabili ai predatori, tra cui gli OD del parassita. L’ipotesi che l’echinococcosi possa aumentare la vulnerabilità ai predatori deriva dalla segnalazione aneddotica di Crisler (1956) secondo cui un caribù (Rangifer tarandus) non riuscì a fuggire dai lupi. La necroscopia rivelò che i polmoni erano infestati da un numero notevole di cisti di E. granulosus. Analogamente le alci (Alces alces) possono presentare infestazioni polmonari massive che determinano una resistenza inferiore degli animali allorché cercano di sottrarsi alla caccia dei lupi (Canis lupus), OD di E. granulosus. Lupi ed altri carnivori predano selettivamente gli animali più deboli e le alci con idatidosi possono risultare più vulnerabili alla predazione. Ciononostante nessuno studio ha mai dimostrato empiricamente un legame diretto tra l’infestazione idatidea, l’aumento del rischio di predazione ed i tassi superiori di trasmissione del parassita. Gli organi interni come i polmoni sono tra i primi ad essere mangiati da parte dei grossi carnivori come i lupi. Pertanto è probabile che la selezione naturale abbia favorito la localizzazione delle cisti parassitarie in questi siti per garantire un rapido consumo da parte dell’ospite definitivo piuttosto che assicurare la probabilità della trasmissione. Comunque sia è evidente l’effetto patologico dell’echinococcosi di modificare il comportamento di fuga dell’OI in modo di aumentarne la predazione e conseguentemente la trasmissione del parassita.
E. multilocularis è un parassita formidabile, perché la forma larvale stabilisce nell’OI una serie di complessi meccanismi che, se da una parte ne promuovono lo sviluppo e la diffusione, dall’altra si estrinsecano con alterazioni patologiche limitate, consentendo una sopravvivenza prolungata dell’ospite e quindi del parassita stesso. Questi meccanismi coinvolgono le interrelazioni tra molecole di superficie e prodotti metabolici del parassita da una parte ed il sistema immunitario (soprattutto la componente cellulo-mediata) dell’ospite dall’altra. Infatti è stato dimostrato che nei roditori di laboratorio con immunità cellulare deficiente e nei pazienti umani HIV positivi, l’infestazione non segue il normale corso in equilibrio, ma assume forme più gravi e potenzialmente fatali. E si può speculare che questo possa dipendere da una perturbazione dei meccanismi evolutivi che hanno portato il metabolismo del parassita ad adattarsi alle difese dei suoi ospiti, e quindi non può reagire altrettanto bene quando si trova in un ambiente immunitario alterato.
Tachizoite di Toxoplasma gondii
Le alterazioni comportamentali dell’ospite in seguito all’infestazione parassitaria, talvolta si manifestano proprio come se l’ospite agisse a vantaggio del parassita impegnandosi alla sua trasmissione. Questo è tipico delle modificazioni comportamentali indotte da T. gondii nel suo ospite, influenzando la trasmissione all’OD. T. gondii è un protozoo intracellulare cosmopolita in grado d’infettare tutti i vertebrati endotermi. Il parassita ha un ciclo biologico complesso in cui i felidi – soprattutto il gatto – rappresentano gli OD. Le oocisti che raggiungono l’ambiente con le feci dell’ospite sono resistenti, potendo restare infettanti per più di un anno. Durante questo tempo debbono essere ingerite da un altro ospite, che può essere rappresentato da un altro gatto (in cui il parassita invade le cellule intestinali, matura e poi produce sessualmente nuove oocisti) o da un OI.
Benché possano essere infettati molti organismi endotermi (roditori, uccelli, uomini), i roditori selvatici rappresentano gli OI naturali di T. gondii. Nella fase acuta dell’infezione il parassita penetra nell’intestino, va incontro ad un processo di riproduzione asessuata ed entra nei macrofagi attraverso i quali viene trasportato nei siti d’elezione per l’incistamento. Quindi il parassita dà origine a cisti resistenti in diversi organi del proprio ospite intermedio, soprattutto a livello del cervello; queste cisti possono persistere per tutta la vita dell’ospite infetto. Il parassita completa il proprio ciclo allorché un gatto si ciba dei tessuti incistati. Anche se la sopravvivenza di T. gondii non è strettamente dipendente dal proprio OD e può essere mantenuto nel tempo nelle popolazioni di OI tramite la trasmissione congenita, il cannibalismo o la predazione interspecifica, la sua infettività aumenta dopo ogni episodio di riproduzione sessuata. Dal momento che questa si verifica solo nell’OD, il parassita in definitiva è dipendente dalla predazione degli animali infetti da parte del gatto. Conseguentemente ci può essere una forte pressione selettiva per la trasmissione all’OD e dunque per lo sviluppo da parte del parassita di meccanismi che promuovono la trasmissibilità dagli OI ai gatti.
La toxoplasmosi latente è stata a lungo considerata un’infezione inapparente in ospiti immunocompetenti. Ma studi recenti hanno dimostrato che l’infezione cronica da T. gondii può indurre alterazioni comportamentali degli ospiti infetti. Nei roditori il parassita determina un aumento dei livelli d’attività ed una diminuzione della neofobia (paura delle novità) e dell’ansia; caratteristiche che potenzialmente possono aumentare la possibilità della trasmissione agli OD. Dato che T. gondii preferenzialmente invade e si incista nel cervello dei propri OI, le alterazioni comportamentali (aumento dell’attività e perdita della neofobia) osservate nei ratti selvatici infetti, originariamente sono state attribuite all’encefalite. Ma altri parassiti cerebrali a trasmissione diretta (la cui trasmissione non dipende dalla predazione dell’ospite) dei ratti selvatici sembra non inducano modificazioni del comportamento. I ratti sono fortemente neofobici e mostrano un’innata reazione d’avversione all’odore di gatto, anche dopo diverse centinaia di generazioni senza esposizione al predatore. Una tale tendenza anti-predatoria è un chiaro ostacolo alla trasmissione di T. gondii e può rappresentare un bersaglio primario per la manipolazione parassitaria. I ratti infetti non solo perdono la naturale avversione all’odore di gatto, ma addirittura pare che ne siano specificamente attratti, anche se altre caratteristiche comportamentali (come l’atteggiamento sociale e riproduttivo) restano inalterate.
Anche se ci sono studi che forniscono prove convincenti sulla capacità di T. gondii di alterare il comportamento dei propri OI, due questioni fondamentali sono ancora senza risposta. In primo luogo, i tassi effettivi di predazione dell’OD nei confronti dei ratti infetti e non infetti in natura attualmente sono sconosciuti e richiedono ulteriori ricerche. Testare il legame reale tra la manipolazione dell’ospite e l’aumento della trasmissione (cioè l’aumento della predazione) in condizioni naturali, è la base delle ipotesi sulla manipolazione. In secondo luogo, non sono ancora chiariti i meccanismi attraverso i quali T. gondii colpisce il SNC dell’ospite e riesce ad alterarlo nei modi descritti. Gli effetti dannosi della toxoplasmosi latente nell’uomo comprendono la meningoencefalite, i cambiamenti di personalità, la diminuzione del quoziente intellettivo, la riduzione delle prestazioni psicomotorie ed i disturbi neuropsichiatrici come la schizofrenia. È probabile che, per indurre le alterazioni comportamentali, siano necessarie la secrezione di sostanze chimiche e/o l’alterazione della produzione di neurotrasmettitori da parte di T. gondii, dal momento che il solo effetto fisico della presenza delle cisti nel cervello, è improbabile che sia sufficiente a determinare tali complesse e specifiche alterazioni dei comportamenti innati dell’OI. Negli ospiti infetti si registrano cambiamenti dell’espressione dei recettori cerebrali dopaminergici ed ansiogeni, dei livelli di neurotrasmettitori (come la dopamina) e delle concentrazioni di noradrenalina e testosterone.
Anche se gli effetti della toxoplasmosi sul cervello sono stati investigati a fondo, le vie attraverso cui T. gondii altera il comportamento dell’ospite, restano poco chiare. Per esempio, l’invasione preferenziale di diversi siti cerebrali da parte di ceppi differenti di T. gondii può influenzare la gravità della patologia. Inoltre il decorso dell’infezione è strettamente dipendente dalle caratteristiche sia del parassita che dell’ospite; nell’uomo e nei roditori di laboratorio, diverse linee genetiche di T. gondii possono manifestare differenze di virulenza. Per comprendere a fondo i meccanismi attraverso cui il parassita riesce ad indurre le alterazioni comportamentali, è essenziale una combinazione di studi neurochimici e comportamentali, che tengano presente sia l’ospite che i ceppi genetici parassitari.
Conclusioni
Da quando van Dobben (1952) riportò che pesci ospiti delle larve del cestode Ligula intestinalis erano significativamente più soggetti ad essere catturati dai cormorani (OD) rispetto ai pesci non infestati, è stato sospettato che i parassiti possano manipolare i propri ospiti. Da allora sono stati documentati diversi esempi di modificazioni indotte dai parassiti in parecchie associazioni ospite-parassita, tra cui anche specie d’importanza medica e veterinaria. Alcune patologie, come la rabbia e l’echinococcosi, destano particolare preoccupazione a causa della recente riemergenza, l’ampia distribuzione spaziale e le implicazioni per la salute pubblica. Le alterazioni indotte dai parassiti sono state spesso considerate manipolazioni parassitarie adattative che aumentano i tassi di trasmissione degli agenti patogeni. Tuttavia i meccanismi, in particolare dal punto di vista neurologico, alla base di queste alterazioni comportamentali, solo di recente hanno iniziato ad essere delucidati. Argomento centrale resta il modo in cui un patogeno possa alterare il fenotipo del proprio ospite. Capire tali meccanismi è vitale per rispondere a domande evoluzionistiche fondamentali. Senza dimenticare che la comprensione delle strategie parassitarie di trasmissione rappresenta la base per gli aspetti applicati della parassitologia, ovvero la terapia delle patologie associate. L’utilizzo della proteomica per studiare le proteine prodotte dai parassiti manipolatori e le alterazioni comportamentali dell’ospite, offre nuove prospettive per lo studio della manipolazione parassitaria. Gli studi futuri certamente trarranno beneficio dall’attenzione alle interrelazioni molecolari (soprattutto per i meccanismi neurochimici) tra gli ospiti ed i propri parassiti manipolatori.
Fonte: Allevamento Pastore Tedesco